Ralph Waldo Emerson

Gli uomini rappresentativi - PLATONE, o il filosofo
(Plato; or, the Philosopher)





Soltanto Platone ha diritto, parlando dei libri eterni, al fanatico complimento che Omar faceva del Corano quando diceva: « Bruciate tutte le biblioteche, poiché tutto il loro valore è contenuto in questo libro». I suoi pensieri racchiudono la sapienza dei popoli. Essi sono la pietra angolare delle varie scuole e le fonti di tutte le letterature. È una disciplina in materia di logica, d'aritmetica, di gusto, d'armonia, di poesia, di linguaggio, di retorica, d'ontologia, di morale e di sag gezza pratica. Non esistette mai una così vasta estensione di specula zione filosofica. Da Platone deriva tutto quello che vien discusso e scritto dai pensatori. Le nostre personalità sono da lui distrutte. Noi abbiamo raggiunta la vetta donde sono precipitate tutte quelle enormi rocce. Da venti secoli è la Bibbia dei sapienti; alle sue fonti hanno bevuto le ardenti giovinezze di coloro il cui scopo è stato di dire delle cose belle alle generazioni che non ne volevano sapere... Boezio, Rabelais, Erasmo, Bruno, Locke, Rousseau, Alfieri, Coleridge, sono dei lettori di Platone, che hanno traslato nella loro lingua materna, le sue cose belle. Gli stessi uomini di maggior complessione soffrono di qualche diminuzione per il fatto, o la sfortuna (se si può dire) di venire dopo questo spirito completo che ha dato fondo a tutto il pensiero. Sant'Agostino, Copernico, Newton, Bebmen, Swedenborg, Goethe sono suoi debitori e sono costretti a parlare dopo di lui. Ed è ben giusto onorare il più vasto generalizzatore che sia esistito, per tutte le deduzioni in ordine particolare tratte dalla sua tesi.
Platone è la filosofia e la filosofia è Platone gloria ed onta nel tempo stesso dell'umanità -; poiché né Anglosassoni né Romani son riusciti ad aggiungere qualche idea a quelle da lui espresse. Non ebbe moglie, figli, ma i pensatori venuti dopo di lui sono la sua posterità, impregnata del suo spirito. La natura non fa sorgere incessantemente, dalle sue ombre, dei grandi uomini perché siano dei Platonici? Gli Alessandrini, costellazione di geni; gli Elisabettiani che non lo sono meno; Sir Thomas More, Henry More, John Hales, John Smith, Lord Bacone, Jeremie Taylor, Ralph Cudworth, Sydenham Thomas Taylor, Marsilio Ficino e Pico della Mirandola.
Il Calvinismo trae le sue origini dal « Fedone»; così pure il Cristianesimo. Il Maomettanesimo trae da lui tutta la filosofia contenuta nel suo manuale di Morale, lo Ahlak-y-Jalaly. In Platone il misticismo trova i suoi testi. Questo cittadino di una città greca non ha patria né focolare. Un Inglese legge e dice: «Come è inglese!». Un Tedesco legge ed esclama: « Ma è teutone ! » Un Italiano: « Come è romano e greco! ». Come è fama che Elena di Sparta possedesse quella splendente universale bellezza per cui tutti si sentivano legati da vincoli fraterni a lei, così Platone sembra un genio americano al lettore della Nuova Inghilterra. La sua larga, possente umanità supera ed annulla tutte le linee di demarcazione.
L'universalità del genio platonico ci rende edotti su quello che dobbiamo pensare nella questione controversa relativa alle opere che gli vengono attribuite; in quanto a quello, cioè, che havvi d'autentico o d'apocrifo.
È strano il fatto che accade sempre ed ovunque ci si trovi in presenza di un uomo che sovrasta dalla cintola in su tutti i contemporanei. Sembra che siamo costretti a discutere sull'autenticità o meno delle sue opere. Così accade per Omero, Platone, Raffaello, Shakespeare. Il fatto è che questi uomini magnetizzano i contemporanei in tal maniera, che essi riescono a fare, per loro, quello che, da soli, non avrebbero potuto mal nemmeno concepire. Il grande vive in molteplici corpi e in varie guise, dipinge, agisce, per mezzo di molteplici mani. E dopo qualche tempo è abbastanza difficile poter dire qual è l'opera autentica del maestro e quale ne è l'imitazione.
Platone, come accade di ogni grande uomo, ha riassunto in sé il proprio secolo. Cos'è dunque un grand'uomo se non un essere dotato di vaste affinità, per il quale tutte le arti, tutte le scienze, tutto lo scibile è preso come nutrimento?
Può far senza e può disporre d'ogni cosa. Quello che non appare buono per la virtù lo è per la scienza. Questa è la ragione per cui i suoi contemporanei lo accusano di plagio. Ma soltanto chi crea, sa togliere a prestito; e la società è ben contenta di dimenticare gli innumerevoli lavoratori che hanno contribuito all'opera di questo architetto, cui va, intera, la riconoscenza di quest'ultima. Sembra che quando si loda Platone, queste lodi vengano rivolte a delle sentenze derivate da Solone, Sofrone e Filolao. Sia pure. Ogni libro altro non è se non una citazione; ed ogni casa è una citazione derivata da ogni specie di foreste e di miniere e cave di pietra; ed ogni uomo è una citazione derivata dai suoi antenati. Questo inventore rapace obbliga tutti quanti a versare il loro contributo nelle sue casse.
Platone riassume la scienza del suo tempo: Filolao, Timeo, Parmenide, Eraclide e tutti gli altri, poi il suo stesso maestro Socrate. E, sentendosi capace di una più vasta sintesi, si recò in Italia onde arricchirsi di quello che ancora poteva riservargli Pitagora; indi in Egitto, e può darsi ancor più lontano nell'Oriente onde importare, nello spirito europeo, l'altro elemento di cui l'Europa aveva bisogno (1). Quest'ampiezza di visione gli conferisce il diritto d'innalzarsi a rappresentante tipico della filosofia. Egli dice nella «Repubblica »: Il genio che i filosofi debbono assolutamente possedere non si trova che raramente, in un sol uomo completo in tutte le sue parti, ma le diverse parti invece si trovano in diverse persone. Ogni uomo che vuole fare bene una cosa deve discendere da un grado più elevato. Occorre cioè che un filosofo sia più che un filosofo. Platone, infatti, possiede tutte le splendide facoltà di un poeta, anzi ne occupa l'elevatissimo seggio e, benché io creda che non abbia posseduto il supremo dono della espressione lirica, se non è poeta nel senso vero della parola, gli è perché ha preferito servirsi del dono della poesia per uno scopo più alto.
I geni sono quelli che hanno le biografie più brevi. Gli stessi congiunti non possono, in fondo, dirvi di loro niente d'interessante. Essi vissero unicamente nei loro scritti e la loro vita, in casa e nella società dei loro simili, fu banale o anche talvolta triviale. Se volete conoscere i loro gusti e la loro personalità rivolgetevi al più fedele ed ammirato dei loro lettori, sarà quello che più assomiglierà loro. Piatone, soprattutto, non possiede esteriori biografie. Se ebbe un amore, una sposa, dei figli, che ne sappiam di loro? Li ha tutti cancellati per comporre il suo quadro. Come un eccellente focolare converte e consuma la legna, così un filosofo converte il valore di tutte le sue fortune nelle sue opere intellettuali.
Nacque nel 430
a. C. all'incirca, nel tempo in cui mori Pericle. Di famiglia patrizia, si dice che abbia avuta una precoce inclinazione per il mestiere dell'armi. Ma, a vent'anni incontrò Socrate che lo dissuase dal farsi soldato, ed egli allora diventò il discepolo di Socrate e gli visse accanto dieci anni, fino alla di lui morte. Si recò allora a Megara; invitato da Dione e da Dionigi, fu alla corte di Siracusa per ben tre volte, per quanto vi fosse molto capricciosamente trattato. Viaggiò in Italia; poi in Egitto dove soggiornò a lungo; alcuni dicono tre anni, altri tredici. Si sospetta che si sia recato a Babilonia, ma questo viaggio è più incerto. Di ritorno ad Atene, insegnò nell'Accademia a coloro che venivano a lui attratti dalla sua fama: e mori, secondo la tradizione, a ottantun anno.
Ma la biografia di Platone è tutta interiore. Noi dobbiamo studiare la somma elevazione di quest'uomo in rapporto alla nostra razza, come avviene che gli uomini diventino suoi seguaci in proporzione alla loro cultura; perché come la Bibbia ebraica è diventato il libro di consultazione di ogni donna e di ogni uomo presso i popoli europei ed americani, anche nelle cose di piccolo conto, così gli scritti di Platone hanno influenzato ogni scuola scientifica, ogni pensatore, ogni chiesa, ogni poeta, rendendo impossibile di pensare altrimenti da come lui pensa, quando si è pervenuti ad un certo livello spirituale. Egli si rizza tra la verità e lo spirito d'ogni singolo uomo ed ha quasi segnato con il suo sigillo e con il suo nome, il linguaggio e le originarie forme del pensiero. Leggendolo sono colpito dell'estrema modernità del suo stile e del suo spirito. In lui, nel pensiero suo troviamo, i germi di quell'Europa che noi conosciamo così bene nella sua lunga storia di arti e di armi; qui sono fissati tutti i tratti salienti, evidenti nello spirito di Platone e in nessun altro prima di lui. Essa Europa ci è stata poi spiegata in un centinaio di storie, ma senza che queste vi aggiungano alcunché di profondamente nuovo. Questa perdurante modernità è il segno del valore in ogni vera opera d'arte; poiché l'Autore non si è perduto dietro all'effimero ed al circoscritto, ma si è attenuto alle linee maestre e durature.
Come Platone sia giunto a rappresentare l'Europa, la filosofia e quasi tutta la letteratura, è il problema che ci accingiamo a sviscerare.
Questo problema non avrebbe potuto essere affacciato se non fosse esistito un uomo sano, sincero, universale, capace di onorare, nel tempo stesso l'ideale, le leggi dello spirito e il destino, o l'ordine naturale. Il primo periodo di un popolo, come quello d'un individuo, è il periodo della forza bruta. I bimbi, piangono, strillano, pestano i piedi, con incosciente furore, incapaci di dar forma ai loro desideri... Il loro carattere diventa più dolce appena possono dire quello che desiderano e formulare dei perché. Anche quando gli uomini diventano adulti, fino a tanto che le percezioni sono ottuse, gli uomini e le donne parlano con molta veemenza usando superlativi, sragionando e litigando: i loro modi sono le risultanze dell'amarezza e del dolore. Il loro discorso è pieno di giuramenti. Non appena le cose diventano più chiare per causa della cultura, in modo che gli uomini non le vedano più in blocchi e in masse, ma appaiano accuratamente suddivise, rinunciano a quella inutile veemenza e prendono a spiegare in dettaglio il loro pensiero.
Se la lingua non servisse all'articolazione, l'uomo sarebbe pur sempre ancora un essere selvaggio che vive nella foresta. Gli stessi difetti e la medesima debolezza appaiono in una sfera più alta, nell'educazione dell'ardente giovinezza degli uomini e delle donne.

«Ah, voi non mi comprendete; non ho mai trovato una sola persona al mondo che mi comprendesse...». Ed essi piangono e sospirano, fanno dei versi, passeggiano schivi e solitari, senza esprimere con precisione il loro pensiero. Dopo un mese o due, grazie al buon genio che li assiste, incontrano qualcuno abbastanza in armonia con loro, e nella possibilità di esser vicino durante l'epoca vulcanica della loro passione. Si ristabiliscono dei buoni rapporti e diventano degli ottimi cittadini. Capita sempre così. Il progresso procede dalla forza cieca all'applicazione, all'abilità; alla verità.
Esiste un momento, nella storia di ogni popolo, in cui, liberandosi dalla giovinezza bruta, le potenze della percezione raggiungono la loro piena maturità, eppure non sono ancora diventate microscopiche. In ugual modo l'uomo, nel preciso momento, si distende su tutta la lunghezza della sua scala ascendente, ed avendo ancora i piedi tra le immense forze delle tenebre, conversa con gli sguardi con le collane siderali e la luce del sole. Questo è il momento del pensiero adulto, il culmine della potenza. Tale è, sotto tutti i punti di vista, la storia dell'Europa; e tale è la storia della filosofia. I suoi primi Annali, che sono quasi del tutto scomparsi, trattano dell'immigrazioni asiatiche e portano con sé i sogni dei barbari; una congerie d'idee confuse fruste in morale e nella filosofia naturale, rischiarantisi a poco a poco grazie all'intuizione particolare dei vari dottori isolati.
Prima di Pericle c'erano i sette Savi; da questi ebbe inizio la geometria, la metafisica e l'etica; seguirono i parzialisti, che studiavano l'origine delle cose, dal flusso dell'acqua e dell'aria, o dal fuoco allo spirito. Ognuno d'essi mescola a queste cause delle figurazioni mitologiche. Infine ecco Platone: il chiarificatore ed il distributore, che non ha bisogno d'alcuna barbara figura, né del tatuaggio né degli urli; perché sa definire. Egli abbandona all'Asia il superlativo e l'enorme; egli è l'avvento della precisione e dell'intelligenza:Sarà un Dio me colui che sa correttamente dividere e definire».
Questo definire è la filosofia in sé e per sé. La filosofia altro non è che la spiegazione che lo spirito umano dà a se stesso della costituzione del mondo. Due fatti cardinali si trovano per sempre alla base delle cose: L'uno e il due. Primo: Unità o Identità; secondo: Varietà. Noi uniamo ogni cosa mediante la percezione della legge che la spiega; con la percezione delle superficiali differenze e delle profonde rassomiglianze. Ma ogni atto mentale, partecipe di questa percezione dell'identità o unicità, riconosce la differenza delle cose. Unicità e varietà. E impossibile di parlare o di pensare senza comprendere le due.
Lo spirito è sospinto a reclamare una sola causa per molti effetti; poi la causa di questa causa e ancora la causa, inabissandosi sempre più nelle profondità del pensiero: ma avendo in sé la certezza di giungere a una causa assoluta e sufficiente, una causa che deve essere il Tutto: « In mezzo al sole è la luce, in mezzo alla luce è la verità, in mezzo alla verità è l'Essere imperituro», dicono i Veda. Ogni filosofia dell'Occidente e dell'Oriente ha il medesimo punto centripeto. Spinto da una opposta necessità lo spirito torna dall'uno a quello che non è l'uno, ma altro o i molti, dalla causa all'effetto: afferma l'esistenza necessaria della verità, l'esistenza m sé della dualità, ciascuno essendo immerso nell'altro. Il problema del pensiero è di separare e di conciliare questi elementi strettamente mescolati. La loro esistenza è mutualmente contraddittoria ed esclusiva; e ciascuno si muta così rapidamente nell'altro che noi non possiamo mai dire ciò che è l'uno e ciò che è l'altro. Proteo è tanto agile nelle più alte regioni quanto nelle più basse, quando noi contempliamo l'uno, il vero, il bene, come alla superficie o nel fondo della materia.

In ogni popolo esistono spiriti inclini a immobilizzarsi nel concetto dell'unità fondamentale. I rapimenti e estasi o e della preghiera, inabissano tutti gli esseri in un solo essere. Questa tendenza trova l'espressione più alta negli scritti religiosi dell'Oriente e principalmente nei libri dei Veda, nella Bhagavat-Gita e nel Vishnou Purana. Tali scritti non esaltano che questa idea e per esaltarla sanno trovare degli accenti puri e sublimi.
Unità! Unità! Della stessa natura sono l'amico ed il nemico; d'una medesima natura sono il solco, l'aratro e il contadino; e la natura è tale che le variazioni di forma risultano, a un certo punto, senza importanza. « Tu sei creato - dice ad un saggio il Supremo Krisna - per comprendere che in nulla sei distinto da me. Ciò che io sono tu lo sei; e del pari così è questo mondo, uno con i suoi eroi, con i suoi Iddii, con la sua umanità . Gli uomini si fermano davanti alle distinzioni perché sono essi frutti d'ignoranza. Le parole Io e mio costituiscono l'ignoranza. Voi imparerete da me quello che è il supremo termine del tutto. E' l'anima, una in tutti i corpi, che li penetra, uniforme, perfetta, superiore alla natura, liberata dalla nascita e dalla morte, dal crescere e dal decadere, onnipresente, fatta di vero sapere, indipendente, senz'alcuna connessione con le irrealtà, con il nome, la specie e il resto nel passato, nel presente e nell'avvenire. II fatto di sapere che questo spirito, il quale essenzialmente uno si trova nel proprio corpo e in tutti gli altri, costituisce la saggezza di coloro che conoscono l'unità delle cose. Come un fiato, passando attraverso i fori di un flauto, dà vita a tutta una scala di suoni, così la natura del Grande Spirito è una, benché siano multiple le sue forme e sorgano dalle conseguenze degli atti. Quando è distrutta la differenza della forma che investe di sé tutto, come quella di Dio, viene annullata ogni distinzione». «L'intero universo non è che una manifestazione di Vishnou che è identica a tutte le cose e che deve essere considerata da tutti i saggi non differente da esse, ma ad esse uguale. Non vado e non vengo, non abito in alcun luogo; né tu sei te; né altri è altro; né io sono io». Come se avesse detto: « Tutto è per l'anima, è l'anima è Vishnou, gli animali e le stelle sono delle pitture transitorie e la luce è un mastice, e ingannevoli, sono le durate; una prigione è la forma e lo stesso cielo è una lusinga». Quello che l'anima vuole è di risolversi nell'essere, al di sopra della forma, oltre il Tartaro e oltre il Cielo, liberandosi dalla natura.
Se la speculazione tende a una terrifica unità, in cui tutte le cose siano come assorbite, l'azione tende direttamente, ma in senso contrario, alla diversità. La prima costituisce la gravitazione dello .spirito, la seconda è la potenza della natura. La natura è multipla. L'unità assorbe, fonde e riduce. La natura apre e crea. Questi due principi riappaiono interpenetrando ogni cosa, ogni pensiero. L'uno, il multiplo. L'uno è Essere, l'altro è intelletto; l'uno è necessità, l'altro è libertà; l'uno riposo, l'altro movimento; l'uno potenza, l'altro distribuzione; l'uno forza, l'altro piacere; l'uno coscienza, l'altro definizione; l'uno genio, l'altro talento; l'uno fervore, l'altro sapienza; l'uno possesso, l'altro commercio; l'uno casta, l'altro cultura; l'uno re, l'altro democrazia; e se porto queste generalizzazioni ad un grado più alto, definendo la ultima tendenza dei due principi, potremo dire che lo scopo dell'uno è di sfuggire all'organizzazione, scienza pura; mentre quello dell'altro è la strumentalità più eccelsa, o uso dei mezzi, ossia divinità esecutiva.
Ogni studioso aderisce, per abitudine e per temperamento, al primo o al secondo di questi Numi dello spirito. Tende all'unità per mezzo della religione, ma i sensi o l'intelletto lo spingono alla pluralità. Una unificazione troppo rapida e una applicazione troppo eccessiva alle parti e alle particolarità, tali sono i due danni gemelli della speculazione.
La storia dei popoli corrispose sempre a questa parzialità. Il paese dell'unità, delle immobili istituzioni, la sede di una filosofia impregnata di astrazioni, terra di uomini fedeli (nella dottrina e nella pratica) all'idea d'un sordo, inesplorabile, immenso destino, è l'Asia; ed è l'Asia che realizza questa fede, con l'istituzione della casta. Di riscontro il genio dell'Europa è attivo e creatore, si oppone alla casta mediante la cultura; la sua filosofia è stata una disciplina.
E' una terra d'arti, d'invenzioni, di commerci, di libertà, 1' Europa. Se l'Oriente ha avuto caro soprattutto 1' infinito, l'Occidente ha prediletto di gran lunga il limite.
La civiltà europea è il trionfo del talento, l'estensione del sistema, la comprensione cauta, l'abilità nell'adattarsi, l'amore delle manifestazioni e delle forme, dei risultati comprensibili. Pericle, Atene, la Grecia avevano lavorato in questo elemento, con la gioia di un genio non ancora intiepidito da possibili previsioni di detrimento o di eccesso. Essi non avevano dinanzi a sè una sinistra economia politica; nessun Malthus del malaugurio; niente Parigi o Londra; nessuna impietosa divisione di classi, bagni. forzati dei fabbricanti d'aghi, galere dei tessitori, dei fabbricatori di stoffe, dei calzettai, dei cardatori, dei filatori; niente Irlanda; nessuna casta indiana. Il giudizio era nel suo fiore. Splendida di novità e d'originalità, l'arte. Il marmo pentelico era lavorato come se fosse della neve e, le opere che ne scaturivano, in scultura ed in architettura, avevano lo splendore della naturalezza, in niente più difficili da costruire di quello che possa esser la messa in cantiere di una nave a Nedford, o la costruzione di nuove officine a Lowell. Queste ultime cose rientrano nella normalità e possono esser considerate come acquisite. La legione Romana, la legislazione bizantina, il commercio inglese, i saloni di Versailles, i caffè di Parigi, la locomotiva, il piroscafo, l'omnibus a vapore; tutto ciò può esser veduto in prospettiva; come il consiglio comunale, l'urna dello scrutinio, il giornale e la stampa a buon mercato. Platone, nel suo soggiorno in Egitto e nei suoi pellegrinaggi orientali, si abituava all'idea di una sola ed unica Divinità, convincendosene; divinità nella quale tutte le cose sono comprese. L'unità del pensiero asiatico e il dettaglio di quello europeo; il senso dell'infinito dell'anima asiatica e l'Europa che ama la definizione, i risultati; che crea le macchine e si attiene, anzi cerca, le superfici, curando soprattutto le opere. Platone giunse alfine a congiungere questi due mondi accrescendone con il contatto l'energia di ciascuno d'essi. Nel suo spinto si trova quanto di più eccellente ha l'Europa e l'Asia. La metafisica e la filosofia naturale erano il genio dell'Europa; egli dona loro, come sottostrato e come base, la religione Asiatica.
In breve, era sorta un' anima che aveva la percezione dei due elementi. In questo caso è assai facile apparire tanto grande quanto meno grande, o addirittura piccolo. La ragione per cui non crediamo di primo acchito alle anime bellissime è questa: esse non cadono sotto la nostra esperienza. Nella vita reale, effettiva, sono troppo rare per apparire incredibili; ma subito, non soltanto non esiste presunzione alcuna contro di esse, ma c'è una forte presunzione in favore della loro comparsa. Ma che' siano state udite o no delle parole cadere dai cieli; che abbiano i suoi genitori sognato o no che il fanciullo di sesso maschile era il figlio d'Apollo; che uno sciame d'api si sia 6 no posato sulle sue labbra, la cosa certa fu, che era nato un uomo capace di vedere i due lati delle cose. La sintesi meravigliosa, così famigliare in natura; il verso ed il retto della medaglia di Giove; l'unione delle impossibilità, che appare in ogni oggetto; il suo potere reale ed ideale, apparivano ormai trasferiti interamente nella coscienza di un uomo.
Apparve l'anima equilibrata. Se predilesse la verità astratta, da essa si salvò con il proporre il più diffuso di tutti i princìpi: il Bene Assoluto, che governa i governanti e giudica i giudici. Se ha emesse delle distinzioni trascendentali, si tonificò, traendo tutti i suoi esempi dalle sorgenti sdegnate dagli oratori e dai troppo eleganti e sdegnosi conversatori; come i giumenti e i cagnolini, le scodelle e i cucchiai da minestra, i cuochi e gli strilloni; scegliendole nei negozi di vasai, di veterinari e di macellai. Non perdonerebbe ad alcuna parzialità, ma è sempre ben risoluto ad illustrare, nella sua tesi, i due poli del suo pensiero. Il suo argomentare ed il suo sentenziare si equilibrano da sé e sono come sferici. Appaiono i due poli e diventano due mani, pronte ad allargare e ad afferrare e ad allargare il bene che loro tocca.
Ogni grande artista è stato grande soprattutto per virtù di sintesi. La nostra possibilità è alternativa, gli è come una corda a due trefoli. Come la riva del mare - mare veduto dalla riva, riva osservata dal mare - o il contatto di due metalli, il nostro potere è accresciuto o meno alla partenza o al giungere d'un amico. L'esperienza della creazione poetica, che non si acquista standosene tappato nel proprio studio, ma in una giusta transizione dei contrari, che debbono usarsi con la maggiore abilità possibile in modo da presentare un aspetto derivato il più possibile da un giusto temperamento, e il fatto di poter d6minare i due elementi, spiegano la potenza ed il fascino di Platone. L'arte esprime l'unità mediante la differenza. Il pensiero cerca di riconoscere l'unità nell'unità; la poesia la svela nella varietà; cioè sempre mediante un oggetto o un simbolo. Platone ha vicino a sé, a portata di mano, - due vasi: uno d'etere, l'altro di pimento, e invariabilmente usa ora l'uno, ora l'altro dei due. La statistica, la storia civile, le cose aggiunte alle cose, sono in lui simili ad altrettanti inventari. Le cose usate come espressioni ideali o linguistiche sono invece inesauribilmente attraenti. Platone volta incessantemente la medaglia di Giove.
Un esempio: ciascuno dei filosofi presocratici aveva espressa la sua teoria sul mondo; la teoria degli atomi, del fuoco, del flusso, dello spirito. Teorie meccaniche e chimiche. Platone, maestro e sign6re dei matematici, indagatore di tutte le leggi e cause naturali, sente che, queste in quanto accessorie, non sono affatto delle teorie del mondo, ma dei semplici inventari e delle semplicissime liste.
In principio del suo studio sulla Natura, enunciò il dogma: Affermiamo la Causa che indusse il Supremo Ordinatore a creare l'Universo. Egli era buono; e colui che è buono non nutre alcuna specie d'invidia. Privo dunque d'invidia, Egli desiderò che tutte le cose fossero simili a Lui in quanto era loro possibile. Saranno nella verità tutti coloro che, edotti dai saggi, ammetteranno questo atto come la causa primitiva dell'origine e della fondazione del mondo!
«Ogni cosa esiste per il bene e il bene è la causa di tutte le cose belle». Questo dogma dà anima e carne alla sua filosofia.
La sintesi che forma il carattere dello spirito platonico si fa luce in ogni manifestazione del suo genio. Dove vi è una vasta latitudine spirituale, incontriamo ordinariamente dei vertici che si amalgamano facilmente in un uomo vivo, ma che sono incompatibili con qualunque descrizione. Lo spirito di Platone non può essere osservato in dettaglio come un catalogo cinese, ma dev' essere afferrato da uno spirito originale, nell'esercizio di tutta la sua potenza originale. In lui l'abbandono più completo si unisce alla precisione i un geometra. La sua audace immaginazione gli conferisce una maggiore afferrabilità dei fatti; come gli uccelli di più eccelso volo posseggono una più salda struttura d'ali. La sua cortesia patrizia, l'intrinseca eleganza aguzzata da un'ironia così fine e penetrante che, mentre punge, paralizza, adombra un vigore sano e durevole ed una forte struttura. Dice un adagio antico: Se Giove discendesse sulla terra, parlerebbe la lingua di Platone.
Unitamente a questo carattere aristocratico, si manifesta un certo fervore che, nella Repubblica e nel Fedone giunge fino alla pietà. Venne accusato di aver finta la malattia, quando Socrate fu processato e morì. Ma gli aneddoti che ci sono pervenuti attestano invece del suo virile intervento in mezzo al popolo, in favore del suo maestro; e l'indignazione, palese in molte delle sue opere, contro il governo popolare, è l'espressione di una indignazione schiettamente personale.
Egli dimostra una probità, un rispetto spontaneo per la giustizia e l'onore ed un senso d'umanità che lo rende tenero verso le superstizioni del popolo. Inoltre crede che la poesia, la profezia e l'alta intuizione derivino da una saggezza di cui l'uomo non è signore. Gli Dei non filosofeggiano; ma questi miracoli si compiono per intervento di un sovrumano delirio. Galoppando su tali celesti corsieri, egli fende gli spazi delle ignote regioni, e scopre dei mondi, in cui la carne non penetra. Ha vedute le anime che soffrono; ha compreso il giudice che condanna; contempla le metempsicosi delle pene infernali; le Parche con la conocchia e le forbici; ed ascolta il mormorio inebriante del loro fuso.
Ma il dono        della circospezione non abbandona mai Platone. Si direbbe che abbia letto le iscrizioni che stanno scritte sulle tre porte di Busyrane: «Sii audace» e su la seconda porta: « Sii audace, audace e sempre più, sii audace», per poi fare una salutare sosta alla terza porta: « non essere troppo audace».

La sua forza dà l'impressione della caduta di un pianeta; la sua discrezione è come il ritorno del medesimo pianeta alla sua perfetta e naturale curva, tanto rifulgono sempre l'ellenico amore della misura e la sua perizia nel definire. Non si è tanto sicuri davanti alla tavola dei logaritmi quanto seguendo Platone nel suo volo. Nulla potrebbe essere più calmo del suo cervello quando i lampi della fantasia sfolgorano nei cieli. Il suo pensiero prima di giungere al lettore è ben definito; ed ecco che le sorprese balzano fuori improvvise, come potrebbe farlo un maestro di stile e di letteratura. Egli possiede quell'opulenza che fornisce, in ogni occasione l'arma che occorre! Come il ricco, che non veste un maggior numero d'indumenti del povero, non usa un maggior numero di cavalli e non occupa del suo alloggio che lo stesso numero di camere che occupa il povero, ma possiede il vestito, l'equipaggio, o l'istrumento adatti all'ora e alle necessità, così Platone, nella sua naturale abbondanza, non è mai avaro, ma possiede sempre la parola necessaria alla bisogna.
A dire il vero egli ha usate tutte le armi che stanno racchiuse nell'arsenale dell'intelligenza: epopea, analisi, delirio, intuizione, musica, satira, ironia, per giungere fino ad usare l'arma della cortesia più fine. I suoi disegni sono poesia e i suoi scherzi sono disegni. L'arte ostetrica, che era la professione di Socrate, null'altro è se non della buona filosofia e quando, nel «Gorgia » definì la retorica con le parole «cucina» e «arte adulatrice » ebbe il potere e lo ha tuttora di chiarire e render saldo il suo pensiero. Effettivamente nessun oratore può gareggiare con colui che sa affibbiare dei nomignoli appropriati. Quanta maestria nell'usar la moderazione, come sa rattenere a tempo il fulmine che ha intenzione di scagliare! Con bonarietà ha fornito al cortigiano e al cittadino tutti gli argomenti che si possono avanzare contro le scuole. « Perché la filosofia è una cosa elegante, se ne vien fatto un uso moderato ma, se il vaso trabocca. diventa corruttrice dell'uomo ». Egli che, per la stupenda facoltà di centralizzare, di cui era dotato, e la larghezza delle vedute, possedeva una fede che non si oscurava, poteva permettersi la generosità. La sua parola è come la sua percezione; scherza con il dubbio traendo dal gioco il miglior partito possibile, corruga il volto ed equivoca, ma di tanto in tanto ecco una frase che solleva la terra e il mare. Scopre questo lato austero non solo attraverso gli intervalli del dialogo e i sì o i no, ma mediante folgorazioni di luce: « Io dunque, o Callicle, sono persuaso da queste ragioni e sto pensando come potrei produrre in giudizio l'anima mia in condizione favorevole. Ecco perché, sdegnando gli onori di cui fa caso la maggioranza degli uomini e badando alla verità, mi sforzerò inver6 di vivere quanto più mi sarà possibile virtuosamente; e quando morrò, vedrò di morire in eguali condizioni d'anima. E, con tutte le mie forze invito voi e tutti gli altri uomini a questa discussione che, affermo, supera ogni discussione finora avvenuta ».
E' un grand'uomo chi unisce alla migliore capacità speculativa una tale proporzione e un tale equilibrio nelle sue facoltà, che gli uomini vedono in lui riflessi i proprii sogni e le proprie intuizioni utilizzabili ed accettabili per quello che sono. Dà garanzia un grande senso comune che lo caratterizza come il rappresentante del mondo. Possiede la ragione come ogni classe di filosofi e di poeti; ma è dotato inoltre di quello che manca a loro, una potente capacità di risolvere, che concilia la sua poesia con le apparenze del mondo e getta un ponte dalle strade cittadine, all'Atlantide. Non dimentica mai di graduare l'idea, ma per quanto sia pittoresco, almeno da un lato, il precipizio, conferisce al suo pensiero un declivio che lo rende accessibile alle strade della pianura.

Mai, quando scrive, soggiace all'estasi e non ci innalza in poetici rapimenti. Platone domina i fatti centrali. Poteva prosternarsi a terra e coprirsi, gli occhi mentre adorava Quello che è innumerevole, ignoto, innominabile, incommensurabile, Quello che contiene l'affermazione e la negazione delle cose, Quello che è «identità e non identità». Egli lo definiva il, Sopraessenziale. Nel «Parmenide», era pronto a dimostrare che tale Esso era infatti; che questo Essere eccedeva i limiti del comprensibile! Nessun uomo ha più totalmente riconosciuto l'Ineffabile.
Dopo aver reso omaggio, quasi a nome della razza umana, all'Illimitabile, si raddrizzò in piedi e, a nome dell'umano genere affermò: Pur tuttavia le cose sono conoscibili; «Il che vuole significare che quell'Asia che gli stava in fondo all' anima fu in un primo tempo onorata, oceano d'amore e di potenza prima della forma, della volontà, della scienza, come l'Identità, il Bene, 1' Unico»; poscia fortificato e rinfrancato da questa adorazione cede all'istinto tutto europeo della cultura e grida: Pur tuttavia le cose sono conoscibili! Sono conoscibili perché nate da una sola: le cose corrispondono. Esiste una scala; e la corrispondenza tra terra e cielo, tra materia e spirito, tra la parte e il tutto è la nostra guida. Come esiste una scienza delle stelle chiamata astronomia; una scienza delle quantità chiamata matematica; una scienza delle qualità chiamata chimica; così esiste una scienza delle scienze - la chiamo dialettica - che è l'intelletto, che discerne vero dal falso. Essa si basa sull'osservazione dell'identità e della diversità; perché giudicare, vuol dire unire a un oggetto la nozione che gli compete. Anche le migliori tra le scienze - la matematica, l'astronomia - sono simili a cacciatori, che afferrano ogni preda che si offre loro, anche senz'esser capaci di farne uso alcuno. La dialettica ce ne insegna l'uso. « La dialettica occupa un tale grado, che nessun intelligente intraprenderà alcun studio per sé, ma unicamente nello scopo di progredire in quell'unica scienza che tutte le abbraccia».
L'essenza, o il carattere particolare di un uomo, 'è di comprendere un'unità; o almeno quello che nella varietà delle sensazioni, può esser compresa come un'unità razionale. L'anima che non ha raggiunta la verità non può penetrare nell'umana forma: «Annunzio all'uomo l'intelligenza. Annunzio la felicità di esser interpenetrati dallo Spirito che ha creato la natura. Buona è la natura, ma migliore è l'intelletto: come il legislatore è più in alto di colui che obbedisce alla legge. Mi compiaccio con voi, figli degli uomini, perché la verità è fondamentalmente sana; perché noi abbiamo la speranza di scoprire quello che può bene essere il fondo stesso delle cose. La miseria dell'uomo è quella di essere allontanato dalla comprensione dell'essenziale e imbottito di congetture. Ma il bene supremo è la realtà; la suprema bellezza è la realtà, e ogni virtù e ogni felicità dipendono da questa scienza del reale: perché il coraggio altro non è che scienza e la maggior fortuna che possa toccare ad un uomo è di esser guidato dal proprio demone verso quello che è suo veramente. Questa è l'essenza della giustizia; che ognuno segua la sua via». La nozione della virtù sarebbe maggiormente raggiungibile mediante la diretta contemplazione dell'Essenza divina. Coraggio dunque! Perché «la persuasione che è necessario che n6i cerchiamo quello che non conosciamo, ci renderà migliori senz'alcun possibile paragone; più valenti e più diligenti di quello che saremmo se giudicassimo impossibile lo scoprire quello che ci è ignoto o pensassimo che è inutile cercare ». Egli assume una posizione dominante mediante la sua passione per la realtà, stimando la filosofia soltanto in quanto dona il piacere di conversare con l'Essere reale.

Così, pieno del genio europeo grida: Cultura. Riconobbe, con una luce di genio non raggiunta dai posteri, la speranza che può dare l'educazione. E questo dopo aver vedute le istituzioni di Sparta.
Si deliziò d'ogni talento, d'ogni opera graziosa, utile e sincera; soprattutto degli splendori del genio e delle meraviglie dell'intelletto. «Socrate - dice Glaucone - i saggi stimano essenza della vita l'ascoltare discorsi come questi». Quale valore attribuì alle promesse del talento
, alle capacità di Pericle, d'Isocrate, di Parmenide! Quale valore, superiore a tutti, attribuì ai talenti in se stessi!
Definiva divina, Nume, nella sua magnifica personificazione, ogni facoltà del talento. Quale valore attribuisce, nell'educazione, all'arte della ginnastica; e alla geometria, nonché alla musica e all'astronomia, della quale esalta la potenza terapeutica e placatrice!
Nel Timeo, mostra quale sia il più alto impiego che si possa fare della vista: «Io dico, che per la detta ragione Iddio ci ha trovati gli occhi e ci ha donata la vista, acciocché noi contemplando in cielo i giri dell'intelligenza, per la circolazione della nostra mente ce ne giovassimo, le quali sono simili a quelli: se non ché, quelle sono serene, queste turbate, e, appreso la drittura e le ragioni de' loro moti, imitando i non errabili giri del Dio, i nostri proprii, i quali sono erranti, ricomponessimo».
E nella Repubblica: «Un certo organo dell'anima è, da ciascuna di queste discipline, purificato e insieme rianimato, in quanto è reso cieco e velato dagli studi d'un'altra specie; organo più degno d'essere salvato che diecimila occhi, poiché lui solo percepisce la verità ».
Egli dice: Cultura. Ma dapprima egli le donò come base la natura, attribuendo in modo incontestabile il primo piano ai suoi vantaggi. I suoi gusti aristocratici si fissarono sulle distinzioni derivate dal casato. L'origine della casta risiede nella saggezza del carattere e nelle disposizioni organiche: ~ La divinità ha collocato l'oro in quelli che erano adatti a governare; l'argento in coloro che destinò alle armi; il ferro e il rame in quelli destinati ad essere degli artigiani e dei lavoratori ». In questa fede ravvisi, riaffermato progressivamente, l'Oriente. Il Corano è esplicito nella questione delle caste: «Gli uomini sono fatti d'uno speciale metallo e sono, per così dire, d'oro e d'argento. Quelli di voi che, essendo nello stato d'ignoranza, sono stati ritenuti degni, lo saranno ugualmente allorché seguirete la fede». Platone non è stato meno fermo. «Dei cinque ordini delle cose quattro soli possono essere insegnati all'umanità in generale ~. Nella Repubblica insiste sul temperamento dei giovani come se si trattasse della questione principale. Un maggiore segno del calcolo ch'egli faceva della natura si ha nel dialogo con il giovane Theage, venuto per ricevere lezioni da Socrate: Socrate afferma che se qualcuno è diventato saggio vivendo con lui, nessun ringraziamento gli è per questo dovuto; perché essi sono diventati saggi stando con lui, non per causa sua; poiché egli, anzi, afferma di non sapere come ciò sia accaduto: «A molti accade invece il contrario, e coloro ai quali il demone s'oppone, non possono trarre beneficio alcuno dalla mia compagnia; in modo che mi risulti impossibile vivere con loro. Eppure con molti mi permette di conversare, i quali nullo beneficio traggono dall'esser meco. Tale è, o Theage la mia compagnia; perché, a Dio piacendo, voi farete grandi progressi e rapidi per di più; spiacente a Lui non ne farete alcuno. Giudicate dunque se non sia preferibile essere educati da quelli che hanno qualche diretto potere sui benefizi che possono arrecare agli uomini, che rivolgersi a me, beneficatore o no, senza ch'io nulla possa fare per esserlo».
Il        ché è come se avesse detto: «Io non ho sistemi. Non posso rispondere di voi. Voi sarete quello che è necessario siate. Se tra di noi esiste corrispondenza d'intelletto la nostra unione sarà inconcepibilmente profittevole; altrimenti voi perderete il vostro tempo e non giungerete ad altro risultato che ad annoiarmi. Vi sembrerò stupido e falsa vi parrà la mia reputazione. Risiede assolutamente al di sopra di noi, al di là della vostra volontà e della mia, quel segreto principio d'affinità o di ripulsa. Tutto quello che di meglio posseggo è un fluido magnetico, ed io educo non già a mezzo di lezioni, ma occupandomi delle mie faccende».
Egli dice: Cultura; dice: Natura, e non manca di soggiungere: « Havvi pure il divino». In tutti gli spiriti esistono dei pensieri che tendono a convertirsi subito in potenza, organizzando un'enorme quantità di mezzi. Platone, amante del limite, ama l'illimitato, vede l'apertura e la nobiltà che da lui s'irradiano e tenta, come se agisse a nome dell'umana intelligenza, di render loro un adeguato omaggio; omaggio degno d'essere ricevuto dall'immensa intelligenza e, pertanto, omaggio che conviene all'intelligenza di ricambiare. Egli afferma in seguito: «Le nostre facoltà si proiettano nell'infinito e di là ci ritornano. Le nostre definizioni si arrestano a qualche passo da noi; ma ecco un fatto che non possiamo dimenticare; e chiudere gli occhi su questo fatto significa suicidarsi: Tutte le cose formano una scala;. e, da qualunque gradino voi saliate, esse s'elevano sempre con un moto ascensionale continuo. Tutte le cose sono simboliche e quelli che noi chiamiamo risultati altro non sono che dei principi».


La chiave. di volta del metodo di Platone e' della sua plenitudine, è la sua linea due volte scissa. Dopo aver illustrata la relazione che esiste tra il bene ed il vero assoluto e
le forme del mondo intelligibile, dice: « Sia come una linea divisa in due parti disuguali. Dividete nuovamente queste due parti - una rappresenta il mondo visibile, l'altra il mondo intelligibile - e queste due nuove sezioni, che rappresentano la parte brillante e la parte oscura di questi mondi, voi avrete, per una delle sezioni del mondo visibile, delle immagini, cioè di volta in volta delle ombre e dei riflessi; per l'altra sezione, vi troverete di fronte agli oggetti di queste immagini, cioè piante, animali, e le opere dell'arte e della natura. Dividete allora il mondo intelligibile nello stesso modo, una delle sezioni sarà quella delle opinioni e delle ipotesi e l'altra quella delle verità». A queste quattro sezioni corrispondono le quattro operazioni che compie l'anima: la congettura, la fede, la comprensione, la ragione. Come ogni pozza d'acqua riflette un raggio del sole, così ogni pensiero, oppure ogni cosa, riflette in noi un 'immagine o una creazione dei Supremo Bene. L'Universo è attraversato, a mezzo della propria attività, da innumerevoli canali.
Ogni cosa ascende ininterrottamente.
Il suo pensiero è interamente volto a quest'ascensione: nel « Fedro » quando afferma che la bellezza è la più desiderabile delle cose, che eccita l'allegria e versa a piene mani il piacere e la fiducia nell'Universo, ovunque essa giunge e penetra. Ed essa penetra, in qualche maniera, in ogni cosa. Ma esiste un'altra cosa che supera in bellezza, la bellezza - così come quest'ultima trionfa del caos - ed è la saggezza, che l'occhio nostro non può afferrare, ma che se lopotesse, verrebbe folgorata dalla sua perfetta realtà. Platone le tributa la stessa ammirazione che ha per la sorgente della perfezione nell'opera d'arte: « Quando un artefice
, nella creazione d'una qualunque opera, considera ciò che esiste secondo identità ed impiegando un modello della stessa specie ne esprime l'idea e la potenza nell'opera sua, noi diciamo che l'opera è bella. Ma se contempla invece quello che nasce e quello che. Muore, l'opera sua sarà ben lungi d'essere bella... ».
E così è dovunque: Il Convito è un monito - famigliare ormai a tutta la poesia e a tutto il mormorio del mondo - a considerare come iniziale l'amore dei sessi. che da lungi simbolizza la passione dell'anima per quell'immenso lago di bellezza, la cui ricerca costituisce la sua ragione d'essere. Questa fede nella Divinità non è mai lontana dall'anima platonica e costituisce la base di tutti i suoi dogmi. Il corpo non è in grado di insegnarci la saggezza; Dio solo lo può. Nello stesso senso afferma che non si può insegnare la virtù; che essa non è una scienza, ma un'ispirazione; che i maggiori beni ci son dati dal sogno come il dono d'un Dio.
Sono giunto a questo punto, a quella figura centrale ch'egli colloca nel centro della sua Accademia, come l'organo dal quale viene enunciata qualsiasi opinione degna di essere considerata, e della quale ha elaborata la biografia in tal guisa che i fatti storici si smarriscono nella luce promanata dallo spirito di Platone.




Socrate e Platone sono la duplice stella che i più potenti strumenti non riusciranno mai a separare completamente. Socrate è, inoltre, nella sua figurazione e nel suo genio, il migliore esempio di quella sintesi che costituisce la straordinaria potenza di Platone. Socrate, d'umili natali è un onest'uomo la cui storia è fra le più comuni; la sua semplicità personale è abbastanza notevole per eccitare il cicaleccio altrui mentre 1 cordiale bonomia e il gusto squisito per lo scherzo, invitavano all'ironie, prontamente ricambiate e ribattute.
Gli attori ne riproducevano gesti e sembianze sulla scena mentre il suo brutto viso veniva copiato dai vasai pei loro vasi. Era un essere dotato di sangue freddo eccezionale, che univa al nativo « Humor» una perfetta conoscenza dell'uomo che lo fronteggiava, qualunque fosse stato l'interlocutore; lo che esponeva quest'ultimo ad una sicura sconfitta in qualunque discussione; e, del discutere egli immoderatamente godeva.
I giovani ne sono pazzi e lo invitano continuamente ai loro festini, ai quali partecipa per il piacere di discorrere. Sa pure bere; possiede la più forte resistenza di Atene e, dopo aver lasciati sotto la tavola i commensali, se ne va, come niente fosse, ad intrecciare dei nuovi dialoghi con qualcuno che sia digiuno. In breve, era uno di quelli che i giovanotti del nostro paese definiscono un ~ vecchio gaudente ~. Affettava numerosi gusti di cittadino, era esageratamente attaccato alla sua città, odiava gli alberi, non si recava mai fuori mura, era amico di tutti i tipi più caratteristici, apprezzava, per quel che valevano, gli uomini di parte, e stimava che tutto quello che si trovava in Atene o derivava da Atene, valeva sempre un poco più di quello che si trovava altrove. Nel modo di fare e nei discorsi era semplice come un Quacchero; si piccava di parlare trivialmente compiacendosi delle immagini e dei paragoni derivati dal gallo, dalle zuppiere e dai cucchiai di sicomoro, dai palafrenieri e dai maniscalchi e da innumerevoli piccoli mestieri; soprattutto se conversava con qualcuno dai gusti raffinati. Possedeva una saggezza
alla Franklin. Così, ad un tale che si spaventava di andare a piedi fino ad Olimpia, dimostrò che non aveva dà fare maggior cammino di quello che da tant'anni aveva compiuto recandosi dall'agora a casa.

Semplice vecchietto dalle larghe orecchie, conversatore instancabile, diede origine a qualche pettegolezzo e pare, a qualche leggenda. Corse infatti la voce che, durante la guerra di Beozia, avesse mostrato un coraggio e una decisione che avevano giovato non poco alla ritirata di un importante corpo di truppe.
E si narrava pure che un giorno, occupando un posto al governo della città, fingendo un accesso di follia si era opposto al volere popolare, dando prova un'altra volta d'un coraggio che, per poco, non gli era costata la vita. Era poverissimo ma robusto come un soldato, viveva di una manciata di olive e, spesso, di pane ed acqua nel senso più completo della parola, salvo quando era invitato da qualche amico. Le sue spese ordinarie erano eccessivamente modeste e nessun altro avrebbe potuto vivere come lui viveva. Era sommariamente vestito e non portava alcun indumento sotto gli abiti, ch'eran di uguale spessore tanto d'estate come d'inverno. Camminava a piedi nudi e si raccontava che, onde procurarsi il godimento, per lui grandissimo, di discorrere a suo piacimento con i giovani più eleganti e più colti di Atene, di tanto in tanto ritornasse alla sua bottega di scultore e scolpisse, più o meno bene, delle statue che poi vendeva. Comunque è certo che egli non si compiaceva che di queste conversazioni, in cui, sotto l'ipocrita pretesa di non saper niente, attacca e mette nel sacco tutti i migliori parlatori, tutti i maggiori filosofi di Atene, originari o stranieri, dell'Asia Minore o delle isole. Chi avrebbe rifiutato di conversare con lui? Egli è così onesto e così realmente curioso di imparare! Era un uomo che si lasciava contraddire se non aveva detta la verità, ma che contraddiceva gli altri, quando affermavano il falso; poiché egli stimava che non avrebbe potuto capitare agli uomini una peggior sventura che di avere una falsa opinione sul giusto o sull'ingiusto. Egli era un uomo che nulla sapeva, ma la cui intelligenza conquistatrice era illimitata; il cui temperamento era imperturbabile; la cui terribile logica si divertiva a suo agio; abbastanza noncurante ed ignorante per disarmare i più circospetti, alterandola, con il più grazioso dei modi, in un dedalo di dubbi, gettandoli nella confusione più completa. Dalla quale lui solo conosceva infallibilmente il modo di uscirne, ma apposta, si guardava bene dal rivelarlo altrui. Impossibile sfuggirgli; stringe l'interlocutore con il gioco serrato dei suoi dilemmi e fa girare a vuoto gli Ippia e i Gorgia, con tutta la loro fama, come un bambino i suoi birilli. Quale tirannico realista! Menone ha parlato mille volte della virtù con mille interlocutori, a quel che pare, benissimo; ma in quel momento non riesce a dire precisamente che cosa sia, tanto quella torpedine di Socrate l'ha imbambolato.
Questo umorista testardo, che divertiva i giovani patrizi con i suoi scherzi, la sua bonomia e le sue bizzarrie, mentre s'allarga e si approfondisce la fama delle sue arguzie e delle sue parole, viene a trovarsi, con il passar del tempo, in possesso d'una probità invincibile tanto quanto la sua logica, ma con la fama di un insensato, o per lo meno, di un entusiasta della sua religione. Allorché viene citato in giudizio come colpevole di professare delle opinioni sovvertitrici della coscienza popolare, egli afferma l'immortalità dell'anima, e la ricompensa e la punizione dopo la morte: e, rifiutandosi di ritrattarsi, viene, dal governo del popolo, condannato a morire ed inviato in carcere. Socrate vi entrò e, di colpo, quel luogo perdette il suo carattere ignobile fino a quando egli vi stette. Critone corruppe il carceriere, ma Socrate non volle uscir di carcere per tradimento: « Qualunque inconveniente possa accadere in seguito, nulla deve essere preferito alla giustizia. Queste cose risuonano in me come dei pifferi o dei tamburi, il cui fragore m'impedisce di ascoltare quello che voi mi dite». La storia di questa prigionia, i dialoghi che vi furon tenuti, mentre essa durò, e la scodella di cicuta, sono tra gli eventi immortali nella storia del mondo.
La rara coincidenza di veder riuniti in una sola persona, il buffone ed il martire, il sottile cicalone della strada e del mercato ed il santo più rassegnato e dolce che fino allora si conoscesse, aveva fortemente colpito lo spirito di Platone, che a questi contrasti aveva lo spirito pronto; e la figura di Socrate, per una specie di necessità, risaltò in primo piano, come quella del migliore dispensatore di tesori intellettuali con il quale fosse possibile parlare. Fu davvero una grande fortuna che questo Esopo popolare e questo sapiente togato s'incontrassero, onde immortalarsi uno nell'altro, attraverso le mutue facoltà. La strana sintesi ch'era nel carattere di Socrate coronò la sintesi nello spirito di Platone. Inoltre, con tale mezzo, poté, direttamente e senz'ombra d'invidia, approfittare dello spirito e dell'importanza di Socrate, al quale senza dubbio molto doveva e di cui si avvantaggiò la perfezione artistica di Platone.
Resta a dire sul difetto di Platone in quanto a « potenza»; ma quest'ultima non è che il risultato della « qualità». Egli è fine, intellettuale e, di conseguenza, nell'espressione - letterato. S'innalzi ai cieli, sprofondi negli abissi, esponga le leggi dello Stato, la passione del cuore, i rimorsi del delitto, la speranza dell'anima che si allontana, è letterato e mai altra cosa. Gli è quasi la sola cosa che occorra sottrarre ai meriti intrinseci di Platone, che i suoi scritti (ciò che si riferisce, senza dubbio, al predominare in essi, dell'intellettualismo) non abbiano la fondamentale vitalità e di conseguenza l'autorità che promanano dai possenti gridi dei profeti e dai sermoni degli Arabi ~ -degli Ebrei illetterati. Esiste una frattura e, per la coesione, è necessario il contatto.
Non so fino a qual punto si possa rispondere a tale critica, se non che noi siamo pervenuti ad un fatto che è nella natura delle cose. Una quercia non è un aranceto. Le qualità dello zucchero restano allo zucchero, quelle del sale al sale. In secondo luogo non esistono sistemi. Sbagliano i suoi più affezionati difensori e discepoli. Egli ha tentato una teoria dell'universo e la sua teoria non è in sé né evidente, né completa. Uno pensa che voglia dire una cosa, un altro un'altra; in un luogo ha detto una cosa che disdice in un altro luogo. Lo accusano di aver dimenticato di operare la traslazione dalle idee alla materia. Ecco il mondo, sano come una nocciola, perfetto, senza che vi resti attaccato il minimo frammento del caos, né costure, né punti, nessuna traccia di premura, di rattoppo o d'impedimento; ma la teoria del mondo è una cosa fatta di brani e di frammenti.
L'onda più lunga si smarrisce presto nel mare. Platone vorrebbe bene avere per sé un Platonismo, un'espressione nota e precisa per il mondo e che dovrebbe effettivamente essere esatta. Allora si scorgerebbe il mondo attraverso lo spirito di Platone, nientemeno. Ogni atomo assumerebbe il colore platonico; ogni atomo, ogni qualità o relazione a voi note già prima, sarebbe incontrata da voi, ordinata, diventata arte e non più natura. E voi sapreste, è vero, che Alessandro ha invaso con degli uomini e dei cavalli, qualche paese della terra, ma che paesi e cose, di cui sono fatti i paesi, gli elementi e la terra stessa, tutto questo infine sarebbe passato attraverso quest'uomo come il pane nel suo corpo - che non è più pane, ma corpo -; così questo frammento di mammouth sarebbe diventato Platone. Egli può vantare dei diritti d'autore su tutto il mondo. Questa è l'ambizione
dell'individualismo. Ma il boccone è troppo grosso. Il Boa constrictor avrebbe una pazza voglia di divorarselo, ma deve dichiararsi vinto. Manda giù il boccone di traverso e cade soffocato. Il mondo morsicato afferra la vittima con i proprii denti. Questa morirà e la natura, indomabile, continuerà a vivere. Così accade a tutti; così deve accadere a Platone. Di fronte all'Eterna Natura, Platone non è che una esercitazione filosofica. Sostiene il pro e il contro. Il Tedesco più sottile, l'allievo più fervido non saprebbero mai dire quello che è stato il Platonismo; in verità, si possono citare nei due casi dei testi ammirevoli di ogni questione che ha trattata.
Siamo costretti a dire queste cose, allorché consideriamo lo sforzo di Platone o di qualunque altro filosofo che abbia voluto disporre della natura, che non è disposta invece a lasciarsi dominare. Nessuna potenza dell'umano genio è riuscita minimamente a spiegare l'esistenza. L'enigma permane. Ma è ingiusto credere che Platone abbia avuta quest' ambizione. Non crediamo di poter trattare con impertinenza il suo nome venerando. Gli uomini, in proporzione della loro intelligenza, hanno ammesse le sue rivendicazioni trascendentali. Il mezzo di rendersene padroni è di paragonarli non alla natura, ma agli altri uomini. Quanti secoli sono passati! Ed Egli rimane irraggiungibile. Una struttura dominante d'umano spirito, come il Karnac o le cattedrali gotiche, o le ruine etrusche. È necessario possedere interamente la facoltà dello spirito umano nella sua ampiezza per conoscerla. Credo che la vediamo con maggiore verità quanto più la rispettiamo.
Il senso di Platone si approfondisce, i suoi meriti si moltiplicano con lo studio. Quando noi diciamo: Ecco una bella collezione di favole, o quando elogiamo lo stile o il buon senso o l'aritmetica, ci esprimiamo come tanti fanciulli e, in buona parte, suppongo che la nostra impazienza critica della dialettica, non valga molto di più. La critica è come la nostra frenesia, di divorare i chilometri quando abbiamo fretta; ma è certo ancor meglio che un chilometro misuri realmente i suoi mille metri. Il vasto mondo ideale di Platone ha proporzionate le luci e le ombre secondo il genio della nostra esistenza.

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