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Come ho scoperto Emerson









«Incontrare» Emerson.
Per chi l'ha incontrato, Ralph Waldo Emerson non è un filosofo come gli altri. Solo chi lo ha semplicemente letto può ritenerlo tale, nella luce fioca di un rapporto essenzialmente libresco, quale normalmente è dato di sperimentare con la maggior parte dei pensatori, anche di quelli che consideriamo più dotati di talento e di originalità.

«Il mio libro - ha scritto Emerson - odorerà di pini e risuonerà del ronzio degli insetti. La rondine sulla mia finestra intreccerà quel filo o quella pagliuzza che porta nel becco anche nella mia trama » (Fiducia in se stessi).

E infatti è stato così che, personalmente, ho fatto la conoscenza di Emerson: avvertendo quel profumo e quel ronzio, e non soltanto perché simili esperienze sono davvero racchiuse tra le pagine e nascoste tra le righe, quanto perché, obbedendo a una voce interiore, quei due libri (Representative Men e gli Essays) la scorsa estate me li portavo appresso dovunque, in mezzo al icona variazionibosco, sullo scoglio, dove schizzi di acqua salata o goccioline di una pioggerella improvvisa irroravano i caratteri stampati e le copertine, e terriccio, granellini di sabbia e frammenti di foglie secche rimanevano intrappolati tra le pagine, che erano oramai diventate parte del paesaggio.
Questa circostanza mi ha fatto pensare che, forse, un libro non è un libro, ma un pensiero vivente e che dà vita, se può sostenere senza nulla perdere, ed anzi esaltandosi, senza temerne l'involontaria ingiuria, la spavalda innocenza dei flutti e la morsa tenace di un sole estivo. Se la natura vi irrompe da ogni parte, con il vociferare dell'Universo che si mescola alle parole e ne commenta, ampliandoli e potenziandoli, i significati palesi, che si trasformano in simboli e metafore dell'infinito!
Ed ecco spiegato perché, nel momento stesso in cui ho cominciato a stendere il testo di questa introduzione mi è apparso chiaro che sarebbe stata una forzatura parlare di questo pensatore rispettando le convenzioni che regolano, di solito, questo tipo di interventi. Così ho deciso di non scrivere, in primo luogo, "di Emerson" e della sua opera, ma piuttosto di raccontare una storia: Come ho incontrato Emerson, ovvero come egli è entrato nella mia vita, ed è diventato mio amico.
In realtà ho un debito nei suoi confronti e questo è, per l'appunto, il tentativo di saldarlo. Ben sapendo, per altro, che il modo migliore per farlo è quello che sto ancora cercando e di cui il presente - la messa a disposizione in un sito Web della versione italiana di alcune tra le più significative opere di questo filosofo - è soltanto l'anticipazione. Intendo dire che dovrò inevitabilmente andare oltre Emerson(1).
«Sii te stesso!», mi ripete incessantemente dalle sue opere il "Saggio di Concord", non diversamente da quel Nietzsche (1bis) - suo estimatore ancorché da lui distantissimo - che protestava di non volere seguaci, e coniò l'esortazione: «Diventa ciò che sei!»
Anche Emerson ebbe dei seguaci, non incoraggiati, e nessuno in grado di raccoglierne l'eredità (5). Ed ebbe amici, come Henry David Thoreau, che lo onorarono più con la propria autonoma grandezza che con la proclamazione del proprio trascendentalismo o - che è lo stesso - "emersonismo".


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Andare oltre Emerson? Se il modo migliore per rendere omaggio a Ralph Waldo Emerson consiste nel seguire la propria strada senza incertezze e timidezze, magari dissentendo profondamente su questioni anche fondamentali, resta e resterà sempre la suggestione, l'ispirazione, la capacità di elevare il tono del discorso ben oltre il limite di ciò che può sembrare naturale attendersi da un uomo che non è vissuto tra i profeti dell'Antico Testamento ma, in un certo senso più prosaicamente, nell'età della macchina a vapore e della ferrovia. Ecco l'Emerson oltre il quale, io credo, non si può andare. Ecco la vibrazione unica, le armonie misteriose d'una mistica arpa che sembra discesa direttamente da un platonico Mondo delle Idee, archetipo che si può imitare, ma non riprodurre, se non come nostalgia, se non come sogno.
Ma non è forse tutta la nostra vita appesa ai sogni, alle nostalgie, anzi al Sogno, alla Nostalgia? "Se non vuoi smarrire la rotta attacca il tuo carro a una stella" - recita un proverbio arabo. Emerson, allora, è una stella per tutto ciò in cui è irraggiungibile. E' la primavera nel suo eterno stupefacente ritorno, e quando è inverno è la nostalgia della primavera.
In realtà i maestri sono indispensabili.
Oggi è il primo giorno di primaveralogo Variazionie, sconvolgimenti climatici permettendo, la natura riprende a vivere senza più nascondere i propri tesori. Le montagne all'orizzonte sembrano più vicine e meno inospitali, il vetro e il cemento delle architetture tardonovecentesche appaiono meno freddi. La città è meno città. La maestosa natura impone il suo lieve tributo e nessuno può sottrarsi: nulla, a ben vedere, è cambiato - incredibilmente. Emerson tripudia e ci incoraggia ad avere fiducia nel futuro. Anzi, se vogliamo, grazie alla "rete" il suo messaggio varca i confini culturali, geografici, politici. E' azzardato sostenere che mai come oggi il mondo è stato uno, come egli ha sempre pensato, come non si è mai stancato di ripetere?

I maestri sono indispensabili. A nove anni Ralph Waldo portava con sé all'Ufficio divino i Pensieri di Pascal, al posto del libro delle preghiere. Adolescente, trovò in Platone un compagno inseparabile, e più tardi trovò Swedenborg, Montaigne, Shakespeare, Goethe, ai quali dedicò una delle sue opere più significative, Gli uomini rappresentativi (tra questi figura anche Napoleone, quello che amò meno, anche se ne riconobbe, appunto, la "rappresentatività"). Ed ebbe una zia amatissima, Mary Moody, Tnamurya, come egli la chiamava, che fin dall'infanzia si prese cura della sua formazione spirituale e morale, riuscendo ad instillare il lui un principio che gli sarà di guida per tutta la vita: «Disprezzate le minuzie, Waldo - era il suo ritornello preferito - mirate all'alto; operate arditamente e cercate sempre di fare quello che è più difficile. Più in alto, Waldo, sempre più in alto».


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Un libro trovato per caso. Un caso fortunato è stato quello che mi ha permesso di conoscere Emerson. Agli inizi degli anni '70 acquistai in una libreria remainders, probabilmente quella di Piazza San Silvestro, a Roma, Gli uomini rappresentativi, una ristampa del '71 dell'edizione del 1944, curata da un poetico Angiolo Biancotti. Non avevo mai sentito parlare, se non in maniera assai vaga e imprecisa, dell'Autore, nonostante fossi uno studente di filosofia. Perciò non so perché feci l'acquisto, forse mi piaceva il titolo, e inoltre alcuni di quegli "uomini rappresentativi" erano tali anche per me, in una personalissima e giovanile "classifica" spirituale, Montaigne più di tutti.
Portai a casa il volumetto, gli diedi un'occhiata, quanto bastò per rendermi conto che valeva la pena di leggerlo, ma con calma, a suo tempo. E fu così, naturalmente, che non lo lessi. Lo tenni però a portata di mano ...fino al '97! La singolarità del caso è che, senza sapere il perché, il libro rimase per anni in un cassetto del comodino, fra i tre o quattro che leggo di solito prima di addormentarmi. Due soli non venivano mai rimpiazzati, la Bibbia e Gli uomini rappresentativi: il primo perché lo leggevo quasi ogni sera, il secondo dal momento che dovevo sempre cominciare a leggerlo ma non mi decidevo mai. Perché? Ora credo di saperlo, ma per tutti quegli anni non ne ho avuto la più pallida idea.

Infine accadde che mi decisi, e cominciai. I tempi erano ormai maturi, le tessere del mosaico andavano pian piano al loro posto. Fu una rivelazione, ma senza solennità e, ancor meno, squilli di trombe. Come trovarsi di fronte a una bella immagine di sé, speculare, ma distinta: un altro me stesso. Un me stesso in precedenza appena intravisto e da quel punto in poi misurato e scandagliato con esattezza e con molta, sorprendente, magnanimità. Una rivelazione espressa nella lingua senza fronzoli, diretta, di un mattino di primavera, chiaro, pieno di promesse e di amicizia.

«L'uomo dovrebbe imparare a scoprire e a guardare quel raggio di luce che balena attraverso la sua mente dall'interno, piuttosto che lo splendore del firmamento dei poeti e dei saggi.»


Ecco l' incipit di una rivelazione che può essere scritta sugli scogli o sulla corteccia di un pino. La icona VariazioniRosa dei Venti che occasionalmente si dispone ai miei piedi e mi fa scorgere le più ardite lontananze. Da questa parte è l'Africa. Qui c'è l'Oriente inondato di limpida luce. Laggiù, opache, si estendono le Terre d'Occidente. Alle spalle il bianco Settentrione. E in quel punto, a Sud-Est, dalla Terra Santa risuona il grido dei Profeti.

«Credere al tuo proprio pensiero, credere che quello che è vero per te nell'intimità del tuo cuore è vero per tutti gli uomini: questo è il genio. Esprimi la tua convinzione latente, e questo sarà il senso universale; poiché ciò che è interiore diviene in tempo debito esteriore, e il nostro primo pensiero ci è restituito con le trombe del Giudizio Universale» (Fiducia in se stessi)

Ma se questa fiducia in se stessi è capace di fare di ciascuno ciò che io chiamo la Rosa dei Venti di se medesimo, è la Natura che ci mostra il sentiero. La Natura che è metafora del divino, cioè, nel linguaggio emersoniano, della «Superanima» (Over-soul).
A questo punto della mia scoperta avevo varcato la soglia di un nuovo mondo. E ne ero perfettamente consapevole.

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La Natura, ovvero...
E' uno spettacolo di profondo significato "filosofico" osservare lo stupore dei bambini più piccoli quando, per la prima volta, afferrano la sabbia e la vedono scomparire rapidamente dalle loro mani. Qualcosa di simile provai quando, nella prima fase della mia scoperta di Emerson, tentai di spiegarmi i fondamenti del suo pensiero.
Con questo non intendo affatto avanzare il sospetto di una intrinseca "debolezza" di Emerson in quanto filosofo e neppure voglio alludere alla, almeno apparente, mancanza di sistematicità della filosofia emersoniana. Mi riferisco, semmai, a quello che considero uno degli aspetti più affascinanti di questo pensiero: il suo carattere essenzialmente "adorante", con ciò che ne consegue sul piano strettamente "razionale".

«Colui che pensa di più, dirà il minimo di quell'ineffabile essenza che chiamiamo Spirito. Possiamo intravvedere Dio nei fenomeni grezzi e in qualche modo distanti della materia; ma quando tentiamo di descriverlo e di definirlo, sia il linguaggio che il pensiero ci abbandonano, e restiamo impotenti, come stolti e selvaggi. Quell'essenza rifiuta di essere tradotta in proposizioni...».

E dunque la filosofia scopre la propria inadeguatezza, almeno fino al momento in cui non si «apprende dalla natura le lezione dell'adorazione». Ecco allora che quell'essenza (lo Spirito) che «rifiuta di essere tradotta in proposizioni»,

«quando l'uomo l'ha adorata intellettualmente, il più nobile ministero della natura è quello di presentarsi come apparizione di Dio. E' l'organo attraverso cui lo spirito universale parla a quello individuale, e cerca con forza di ricondurre ad esso lo spirito individuale.» (Natura, 1836)

«Quando l'uomo l'ha adorata intellettualmente...»: così la filosofia può elevarsi fino all'Ineffabile, attingendo a quella Natura che «veste sempre i colori dello spirito».
Ecco il ruolo centrale che la Natura viene ad assumere in Emerson.
Ma vediamo cosa deve intendersi, precisamente, con questo termine:


«Da un punto di vista filosofico, l'universo è composto dalla Natura e dall'Anima. In senso stretto, perciò, tutto quello che è separato da noi, tutto quello che la Filosofia distingue come NON IO, cioè sia la natura che l'arte, tutti gli altri uomini e il mio corpo, deve essere classificato sotto questo nome, NATURA(Ibidem)

Dunque, attenzione, il concetto emersoniano di Natura è molto ampio!
Ma, nonostante tutto, essa è "solo" il simbolo dello spirito.

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Portrait La Superanima ovvero...

«Da dentro o da dietro una luce brilla attraverso noi sulle cose e ci rende consapevoli che non siamo niente, che la luce è invece tutto». (La superanima)

E' l'altra faccia della Self-Reliance («fiducia in se stessi»), senza della quale, oltretutto, quest'ultima acquisterebbe significati e valenze vagamente superomistici, alla Nietzsche, che invece restano distanti anni-luce.
Quando il veliero «Emerson» molla gli ormeggi e si lascia condurre dal soffio dei venti che scaturiscono dall'interno , cioè dalla sua stessa anima, egli prende atto che le parole non sono più sufficienti. Come potrebbe essere altrimenti?

«Dentro l'uomo c'è l'anima del tutto». «Sottomettendosi a quello spirito di profezia che è innato in ogni uomo, possiamo arrivare a conoscere che cosa essa dica». (Ibidem)

L'Anima Universale parla, vive, respira in ogni singolo uomo. Ad essa tutte le azioni virtuose, tutti gli atti eroici e misericordiosi, i più elevati discorsi, ogni sapienza e nobiltà, tributano un culto spontaneo e spontaneamente si sottomettono. E cieco e fragile è ogni atto, pensiero, discorso, che l'individuo ascrive a se stesso, ponendo in se stesso il proprio ubi consistam. Qui è il germe di ogni decadenza spirituale e morale.


«Io non oso parlare per essa. Le mie parole non possono convogliarne il nobile senso; esse cadono inadeguate e fredde». «Pure desidero, anche attraverso parole profane, se non ne posso usare di sacre, indicare il cielo di questa divinità e riferire tutti gli indizi che ho raccolto sulla trascendente semplicità ed energia della più Alta Legge». (Ibidem)

E' ai "semplici" che tale sapiente "Semplicità" parla, è ad essi che ogni «indizio» risulta significativo, simbolo che "dà a pensare" (6), che risveglia dai torpori della "finitudine" l'anima individuale.
Sebbene «troppo sottile», «indefinibile», «non misurabile» questa pura natura circoscrive ogni cosa, costituisce il tutto. E il suo riverbero nella Natura può annullare in un istante gli effetti nefasti di una straripante influenza dei sensi, evidente nella maggioranza degli esseri umani, purché impariamo a «non interferire con i nostri pensieri» e ad «agire con integrità». Ecco che cos'è, per Emerson, la «Rivelazione».

«Designiamo gli annunci dell'anima, le manifestazioni della sua natura, con il termine Rivelazione. Esse sono sempre accompagnate dal sentimento del sublime. Poiché questa comunicazione è un influsso della Divina mente sulla nostra mente. E' il flusso del ruscello individuale davanti alle onde imponenti del mare della vita. Ogni distinta comprensione di questo comandamento centrale scuote gli uomini con sgomento e gioia. Un brivido passa in tutti nel ricevere una nuova verità, o dinanzi a una grande azione che venga dal cuore della natura. In questi momenti comunicativi il potere di vedere non è separato dalla volontà di fare, la conoscenza procede invece dall'obbedire, e l'atto di obbedienza proviene da una gioiosa percezione». (Ibidem )


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Emerson e l'America
Come un esploratore - con lo stesso spirito d'avventura - ero finalmente giunto al cuore del "continente" Emerson e avevo trovato molte ricchezze lungo il mio cammino. Avevo però dovuto alleggerirmi, senza rimpianti, di parecchia zavorra.
Gli scenari contemplati, di una pura e selvaggia bellezza, mi ricordavano da vicino quelli di un grande Paese che avevo percorso in lungo e in largo anni prima: gli Stati Uniti d'America.
In realtà non ci vuol molto a rendersi conto che l'immensa natura americana, nella sua stupefacente varietà, è sempre "presente" nelle lectures di Ralph Waldo Emerson e ne costituisce, in qualche modo, una delle principali chiavi interpretative.
In questo senso, quindi, posso dire che la mia scoperta di Emerson, in fondo, è stata una nuova esplorazione di quel magnifico Paese. Ma non solo in quel senso. A parte la natura americana, infatti, Emerson e l'America si rispecchiano l'uno nell'altra sotto il profilo intellettuale e culturale, e questo per la semplice ragione che egli è tanto «americano» quanto l'America è «emersoniana».

«Emerson - ha scritto Josiah Royce - trasformava ogni cosa che assimilava. Inventava sulla base della sua personale esperienza e per questo non fu un discepolo né dell'Oriente, né della Grecia e ancora meno dell'Inghilterra e della Germania. Egli pensava, sentiva e parlava come americano». (7)

Del resto, con The American Scholar (1837), secondo il celebre giudizio di Oliver Wendell Holmes, egli aveva scritto «la dichiarazione d'indipendenza culturale americana». In altre parole: l'America ha fatto Emerson, Emerson ha fatto l'America.


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Il «democratico»
Emerson finì con l'esercitare un' influenza profonda sulla cultura politica americana. (8)
Ciò, malgrado relativamente pochi dei suoi scritti, discorsi e conferenze - e neppure i più importanti - se ne occupassero direttamente ed esplicitamente. Come mai? Il punto è che il trascendentalismo, di per se stesso, presentava un carattere «pratico», il cui fulcro era costituito dalla persuasione che un uomo rinnovato nell'anima fosse in grado di cambiare - nel vero senso della parola - il mondo. (9) Nel contempo Emerson aveva decisamente spostato i confini tradizionali della filosofia, aveva cioè «eluso» la tendenza a incentrare la filosofia sull' epistemologia. Da qui deriva

«una concezione della filosofia intesa come una forma di critica della cultura in cui il significato dell'America viene proposto dagli intellettuali come risposta a particolari crisi sociali e culturali». (Cornel West, La filosofia americana, Roma 1997, p. 6. Titolo originale: The American Evasion of Philosophy: A Genealogy of Pragmatism, 1989)

«Il significato dell'America». Non si comprende Emerson senza afferrare questa idea dell'America. A noi europei dirà poco, ma ciò dipende essenzialmente dal nostro "provincialismo" - speculare a quello americano - e dalla nostra presunzione di essere tuttora un faro di civiltà.
«L'America è l'idea di emancipazione», scrive Emerson nei suoi diari. Il che non impedisce al "critico" di vedere «l'aspetto sinistro» del suo Paese.

«L'idea americana, quella di Emancipazione, che compare nella nostra libertà di intelletto, nelle nostre riforme e nella nostra cattiva politica, ha naturalmente il suo aspetto sinistro, il quale viene più spesso avvertito dall'esperto e dal formalista. Ma, se viene seguita, essa conduce verso luoghi paradisiaci». (Emerson in His Journals, selezionati e a cura di Joel Porte, Harvard University Press, Cambridge 1982, p.354, cit. in C. West, Op. cit., p. 18.)

E' questo, fondamentalmente, l'Emerson "politico": un critico della realtà dell'America del suo tempo, in nome di un'America ideale . Egli la proponeva ai suoi concittadini con tutte le risorse del suo spirito vulcanico. Tra profezia e ironico distacco, tra un' indignata protesta contro «i fini meschini e ignobili perseguiti da una meschina e ignobile società» (Vernon Louis Parrington, Storia della cultura americana. II . La rivoluzione romantica. 1800-1860, p. 489, Torino 1969), e la fede ardente in una democrazia a venire, a fondamento della quale fossero non le costituzioni, i governi, le banche e le istituzioni tutte - idoli e nulla più - ma l'anima umana.

«Tutto il complicato meccanismo immaginato da pensatori politici come Montesquieu e John Adams, con i loro schemi di freni e contrappesi per mantenere lo status quo, lo respinge tranquillamente; non si interessa delle costituzioni, né delle strutture complicate della sovranità coercitiva. L'unico, vitale principio su cui deve fondarsi la vera repubblica è quello della buona volontà. Dacché "i governi hanno origine nella identità morale degli uomini", il riconoscimento di una comune natura umana con interessi comuni deve indurre gli uomini razionali a una comune fratellanza politica; e finché essi non diverranno abbastanza saggi per cooperare volontariamente al comune benessere, non è possibile alcun governo buono». (Ibidem, p. 491)

Quel che più importa ad Emerson è che a nessuno stato, istituzione, sistema economico possa essere riconosciuto il diritto di rappresentare un'istanza più alta rispetto all'Individuo. Egli, in perfetta sintonia con il suo discepolo Henry Thoreau e con il suo amico Thomas Carlyle, prende decisamente le distanze dall' industrialismo senz'anima, dall'affarismo avido e spietato che aveva stregato l'America del suo tempo, e che minacciava di sfociare in una nuova, universale monarchia, ancor più tirannica di quelle conosciute nei millenni precedenti. Ecco perché dello stato e del governo si può e si deve diffidare.

«Perciò, meno governo avremo, e meglio sarà per tutti; minore è il numero delle leggi, e minore il potere delegato agli altri. l'antidoto a quest'abuso di governo formale è dato dall'influsso che può essere esercitato dal carattere personale, dalla crescita, in noi, dell'Individuo; dal far ricomparire il vero protagonista al posto del sostituto; dalla presenza, infine, dell'uomo saggio, del quale ogni governo in carica e ciò va fermamente ribadito - è solo una misera imitazione. Ciò che tutte le cose tendono a portare in luce, ciò che la libertà, la cultura, i rapporti sociali, le rivoluzioni mirano a formare e a delineare, è il carattere: è questo il fine della Natura:
di arrivare a incoronare infine questo suo re. Lo Stato esiste per formar l'uomo saggio: e con l'entrata in scena dell'uomo saggio, lo Stato cessa di esistere. Il carattere rende lo Stato non più necessario. Il saggio è egli stesso lo Stato». (Politica)

Siamo all' icona Variazioniutopia? Sì, se possiamo considerare tale l'idea stessa di emancipazione, cioè l'America, nella sua massima estensione. Sicuramente Emerson indica una via, un programma, un atteggiamento mentale. Questa apoteosi dell'individualismo, però, pragmaticamente, gli suggerisce comportamenti ragionevoli, per niente estremistici o velleitari. Se la prende con i banchieri e gli uomini politici, ma per circostanziati motivi e con solide argomentazioni. Si scaglia contro la Fugitive Slave Law, e non si vede in questo alcuna "fuga in avanti". Scrive nel suo Diario:

«Questo ignobile provvedimento fu fatto nel secolo XIX, da gente che sa leggere e scrivere. Non gli ubbidirò, in nome di Dio» (cit. in V. L. Parrington, Storia della cultura americana ...,, cit., p. 497).

Prende posizione a favore della causa abolizionista, dimostrando di possedere, oltre che il senso della giustizia, anche quello della storia. Già nel 1835 annota nel Diario:

«Che la cristianità parli sempre in favore dei poveri e degli umili. Sebbene la voce della società richiederebbe una difesa della schiavitù da parte di tutti i suoi organi, non ci si potrà mai attendere questo servizio da me. La mia opinione non è di alcun valore, ma di tutto il linguaggio che ho appreso non ho una sola sillaba da pronunciare per il piantatore. Se opponendomi alla schiavitù metto in pericolo le istituzioni, confesso di non voler vivere in una nazione in cui esiste la schiavitù» (Emerson in His Journals, cit., p. 136).

Come democratico Emerson si rivelò all'altezza delle mie più ottimistiche aspettative. Man mano che dalle pagine dei Journals e degli Essays le sue idee politiche prendevano corpo, si andava rafforzando in me la già ben radicata convinzione di aver a che fare con un evento unico della storia intellettuale e morale.
Il democratico , cioè, era degno dell'uomo di Dio, del poeta, dell' incantatore Emerson. Soprattutto una cosa mi sembrava stupefacente, la simbiosi, anzi l'identità profonda, nel cuore di quel pensiero, di due fedi quasi sempre antitetiche: quella nell'aristocrazia dello spirito e quella nella triade liberté, egalité, fraternité.
Era questa l'ultima "scoperta". E se penso allo spettacolo deprimente della politica di questi anni, non mi è certo di poco conforto constatare che si può continuare a credere nella democrazia senza perciò stesso essere disposti ad avallarne insopportabili partigianerie, degenerazioni e volgarità, gabellate come accidenti momentanei o ineluttabili contrappesi dai suoi falsi profeti, vedere magnificamente confermata una verità di cui non doversi mai vergognare: che lo spirito è saldamente, gioiosamente, irriducibilmente, dalla parte dei democratici.

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Portrait Congedo Era uno splendido, luminoso Equinozio di primavera quando ho cominciato a mettere insieme questa introduzione. Oggi, a distanza di pochi giorni, mentre mi accingo a stendere queste considerazioni conclusive e ad accomiatarmi da coloro i quali hanno avuto la pazienza di arrivare fin qui, la primavera continua ad elargire i suoi doni.
Ha appena smesso di piovere e il sole va e viene tra nuvole bianche, grige e dorate che mutano continuamente aspetto e si contendono il cielo con ampi sprazzi d'azzurro.
Come quelle nuvole, scorrono rapidamente nella mia mente gli aspetti del pensiero emersoniano che ho esposto in queste pagine e gli sprazzi autobiografici che ho inserito qua e là - azzurri come il cielo che Emerson mi ha mostrato e che io ho scoperto di avere sempre avuto dentro di me.
Ecco, vorrei che che questo rimanesse impresso nel lettore, e ovviamente che il resto servisse ad invogliare a leggere direttamente le opere di Emerson, che oltretutto è un autore facilmente accessibile, dal linguaggio semplice e diretto, tanto da non richiedere neppure - a rigore - presentazioni, introduzioni e commenti: basta leggere soltanto una delle lectures che da ora in poi saranno in rete anche in italiano, per avere un'idea dell'opera intera e, più ancora, per «incontrare» Emerson. E quando questo non basta, temo che sia tempo sprecato proseguire nella lettura delle altre opere, a meno che non si sia mossi da intenti "meramente" accademici o da legittima curiosità intellettuale. Ma questo è completamente un altro discorso.

A chi dedicare queste pagine? La scorsa estate, al tempo della «scoperta», avevo annotato, guardando il mare dagli scogli: «A coloro che al Meglio dedicano il peggio».
Anche allora il sole andava e veniva, pioveva persino mentre il sole splendeva. Ero rimasto completamente solo, erano tutti scappati via: non sapranno mai che cosa hanno perso, quale battesimo hanno disertato, nella luce dorata di un meriggio che faceva assomigliare quegli scogli alla rocca sulla quale si erge il Paradiso!
Più avanti, sul finire dell'estate, quando avevo completato il mio programma di letture, ebbi chiara la consapevolezza di un' Icona Variazioniopera che mi attendeva: questa, cioè tutto ciò che ora è entrato in quel firmamento tecnologico che si chiama cyberspazio.
E' passato un autunno e un inverno. All'inizio della primavera, l'opera è compiuta.

Ritratto di R. P. S. R. Piccoli




data


















NOTE


(1) Il 29 settembre 1999 ho messo in rete una "meditazione" che va nella direzione indicata: Emerson alla Verna

(1bis)In una delle sue ultime opere, Il crepuscolo degli idoli (1888), Nietzsche espresse su Emerson un giudizio che resta tra i più acuti e penetranti: «E' molto più illuminato, errabondo, multiforme, raffinato di Carlyle, e soprattutto è più felice... E' un individuo che, istintivamente, si nutre solo di ambrosia e lascia andare quel che nelle cose è indigeribile. A petto di Carlyle è un uomo di gusto. - Carlyle, che lo amava molto, diceva ciònonostante di lui: "Non ci dà abbastanza da mordere": e questo può anche essere detto a buon diritto, ma non in un senso sfavorevole a Emerson. - Emerson ha quella giocondità affabile e ricca di spirito che scoraggia ogni severità: non sa assolutamente quanto sia già vecchio e quanto giovane sarà ancora».

(2) Una preghiera di Madre Teresa di Calcutta si adatta molto bene a quanto qui si vuol dire a proposito di odiose contapposizioni:

Preghiera per i musulmani e gli induisti

O Signore,
ti ringrazio per i musulmani e gli induisti.
E per tutti i miei cari amici tra loro.
Ogni volta che ti incontriamo
nella preghiera,
tu ci rendi migliori cristiani,
migliori musulmani,
migliori induisti.

Dà a tutti noi
il dono della fede
per saperti scorgere.

Amen.

(3) C'è un sito molto interessante in cui si trovano molte notizie e informazioni sul Dalai Lama e sul Tibet: Tibet Online Resource Gathering.

(4) Segnalo qui una mia "meditazione" che presenta qualche interesse sia in ordine all' andare "oltre Emerson" sia per quanto riguarda l'accostamento S. Francesco-Emerson: Emerson alla Verna.
Ed ecco, infine, il testo di quel fantastico volo dell'anima che è il Cantico delle Creature di San Francesco d'Assisi:

«Altissimu Onnipotente, bon Signore,
tue so le laude, la gloria e l'honore
et onne benedictione.
Ad te solo, altissimu se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi Signore, cum tucte le tue creature
spetialmente messor lo frate sole,
lo quale iorno et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore
de te altissimo porta signijìcatione.
Laudato sie, mi Signore, per sora luna
e le stelle;
in celu l'ai formate clarite et pretiose et belle.
Laudato sie, mi Signore, per frate vento et per aere
et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le tue creature dai sustenlamento.
Laudato sie, mi Signore, per sora acqua,
la quale è multo utile et umile et pretiosa et casta.
Laudato sie, mi Signore, per frate focu,
per lo quale ennalumini la nocte:
et ello è bello e iucundo et robustoso et forte.
Laudato sie, mi Signore, per sora nostra matre terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti fiori et herha.
Laudato sie, mi Signore, per quelli ke perdonano
per lo tuo amore,
et sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli kel sosterranno in pace,
ka da te Altissimo sirano incoronati.
Laudato sie, mi Signore,
per sora nostra morte corporale,
da la quale nullu homo vivente po skappare.
Guai a quelli ke morranno ne le peccata mortali.
Beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda nol farrà male.
Laudate e benedicete, mi Signore
et rengratiate et serviateli cum grande humilitate»

(5) Sulla scia di Emerson, e dunque nell'ambito del trascendentalismo, sorsero tra l'altro movimenti vagamente "socialistici", vegetariani, antialcoolisti, primitivisti, ai quali il medesimo, rigorosamente individualista , non si sognò mai di aderire. Ad esempio il Brook Farm Institute of Agriculture and Education , una comunità fondata nel 1841 da George Ripley, un ex ministro del culto unitariano, come Emerson, ispirata alle idee del Fourier e alla quale aderirono Margaret Fuller, Nathaniel Hawthorne e sua moglie Sophia Peabody, sorella di Elizabeth, instancabile attivista del gruppo, e Orestes A. Brownson, in seguito convertitosi al cattolicesimo (con grande scalpore). Oppure la comunità vegetariana di Fruitlands, fondata nel 1844 da Amos Bronson Alcott, che pubblicò sul Dial i suoi Orphic Sayings.

(6) L'espressione, oramai celebre, è di Paul Ricoeur. Detto en-passant, sarebbe interessante indagare, pur con tutte le dovute cautele, i possibili punti di raccordo tra l'approccio emersoniano e quello ricoeuriano al simbolo, visto che ad esso in entrambe le prospettive filosofiche viene assegnato un ruolo centrale e considerata la comune, ancorché diversamente mediata, ascendenza kantiana.

(7) J. Royce, William James and the Philosophy of Life (1911), in Id., The Basic Writings, a cura di J. J. McDermont, Chicago-London 1980, I, p. 207, cit. in Nadia Urbinati, Individualismo democratico. Emerson, Dewey e la cultura politica americana, Roma 1997.

(8) Due testi recenti - e, particolare non trascurabile, in italiano - fanno il punto sull'argomento in maniera rigorosa e documentata. Per comprendere l'influenza esercitata da Emerson sulla cultura politca americana, ci si può avvalere del saggio (cit. nella nota (7)) di Nadia Urbinati, Individualismo democratico. Emerson, Dewey e la cultura politica americana. Sul piano più strettamente filosofico (ma con particolare attenzione alle "ricadute" politiche) si colloca, invece, il saggio di Cornel West, La filosofia americana, cit. . L'Autore dedica, significativamente, il primo capitolo del suo libro ad Emerson.

(9) Cfr. Nadia Urbinati, Op. cit.. nella nota (7).


























ICONA VARIAZIONIVARIAZIONI SUL TEMA



icona Variazioni LA PRIMAVERA
Eppure, non scordiamolo, occorre andare oltre Emerson. Guardo la natura che rinasce, le margherite nei prati e gli alberi in fiore, sento l'aria tiepida e il sole che scalda e non posso fare a meno di pensare a Francesco d'Assisi, che coi puritani, anzi ex-puritani, unitariani o post-unitariani, cioè trascendentalisti come Emerson e come i suoi discepoli, Henry Thoreau e Margaret Fuller, non sembra aver molto a che fare. Io, almeno, sono cattolico!
Dunque, almeno su una cosa - e che Cosa! - non siamo d'accordo. Ma questo non è ancora andare oltre Emerson, è semmai uno starsene ben saldi prima di lui. Il che non mi pare che voglia necessariamente dire essere rimasti indietro. Ma chi vuole pensarlo è padronissimo di farlo, come chi vuole ad ogni costo contrapporre Oriente e Occidente, Buddha e Gesù. Ciascuno difenda pure la propria "via", se questo lo aiuta a sentirsi parte del Grande Progetto, in armonia con se stesso e con il Signore dei Mondi: l'albero si farà riconoscere dai frutti. Osserveremo cause ed effetti e, in silenzio, giudicheremo. Ma, personalmente, non contrapporrei mai Gandhi e Madre Teresa (2), San Benedetto e il Dalai Lama (3), e soprattutto non chiederei ad alcuno alcuna abiura. Provino pure a contrapporre Emerson a Francesco d'Assisi, e ...auguri! Io mi limiterò a recitare il Cantico delle Creature (4) all'alba e a rileggere Natura al tramonto, e a riconoscere in entrambe queste opere un unico spirito, che mi è amico e fratello.



ICONA VARIAZIONI LA ROSA rosa DEI VENTI
Tra le rocce è scritto il tuo Destino
e la Rosa dei Venti suddivide l'orizzonte.
E' sbocciata, e un profumo intenso e gioioso
annuncia la vittoria agrodolce sulla bruta potestà,
sopraffatta da un altro Potente, lo sguardo fermo
e il cuore benedetto dal Solstizio d'Estate.
Una musica risuona, il mare mugghiante e i venti
liberati nel cielo che l'incontrano
e fanno lieta e virile brigata.
E il mare parla e racconta, spiega e interroga,
risponde e smentisce, ma più spesso
è pietoso e magnanimo, interprete del Silenzio.
Se solo glielo permettiamo, agendo gentilmente,
una volta, fino in fondo, senza bisogno di parole.

«In luoghi non ufficiali, tra sordidi oggetti, un atto di virtù o di eroismo sembra improvvisamente attirare a sé il cielo come suo tempio, il sole come sua candela. La Natura tende le sue mani ad abbracciare l'uomo, solo che i pensieri di questi siano di pari grandezza. Volentieri essa segue i suoi passi con la rosa e con la viola, e piega il suo profilo splendido e grazioso ad ornare il figlio amato. Se solo i pensieri di questi sono di uguale portata, la cornice si adatterà al quadro. Un uomo virtuoso è all'unisono con le opere della natura, e costituisce la figura centrale della sfera visibile.» (Natura, 1836)




ICONA VARIAZIONI I BOSCHI
Un picolo saggio di che cosa Emerson intenda quando parla di pini, insetti, ronzii ...
«Nei boschi è la perpetua giovinezza. In queste piantagioni di Dio regnano un decoro e una santità, una perenne festa viene allestita, e l'ospite non vede come potrebbe stancarsene in mille anni. Nei boschi ritorniamo alla ragione e alla fede. Lì sento che niente mi può capitare nella vita, nessuna disgrazia, nessuna calamità (purché mi lasci la vista), che la natura non possa riparare. Stando sulla nuda terra, il capo immerso nell'aria serena e sollevato nell'infinito spazio, tutto l'egoismo meschino svanisce. Divento un trasparente bulbo oculare, non sono niente, vedo tutto; le correnti dell'Essere universale circolano attraverso me; sono una parte o una particella di Dio. Il nome dell'amico più vicino suona allora straniero e accidentale: essere fratelli, o conoscenti, padroni o servi, diventa allora un'inezia fastidiosa. Io sono l'amante dell'irresistibile e immortale bellezza. Nella solitudine trovo qualcosa di più caro e connaturale che nelle strade o nei villaggi. In un paesaggio sereno, e specialmente nella lontana linea dell'orizzonte, l'uomo contempla qualcosa di bello quanto la sua stessa natura.
La più grande beatitudine offerta dai campi e dai boschi è la suggestione di un'occulta relazione tra l'uomo e la vegetazione. Non sono solo e sconosciuto. Essi mi mandano segnali e altrettanto faccio io. L'ondeggiare dei rami nella tempesta è nuovo e al tempo stesso antico per me. Mi sorprende, e pure non è sconosciuto. L'effetto che produce è quello di un più nobile pensiero o di una più elevata emozione che mi raggiunse nel momento in cui ero convinto di pensare esattamente o di operare rettamente». (Natura, 1836)





icona Variazioni
UTOPIA

Utopia!
Posso chiedere un favore?
Smettete di storcere la bocca.
Sapete, non vi dona affatto:
Che sono, ad esempio, quelle grinze?
Spuntano aguzzi canini
Dalle vostre ispide barbe.
Per favore, non storcete la bocca
Quando chiamate le mie
Soltanto «Utopie».
Offritemi solo un'alternativa:
E' dura, sapete, stare a guardare
Le vostre facce «concrete»
E pensare: non c'è alternativa!
Ma lo so, lo so,
E' tutto inutile,
Non è colpa vostra:
Voi siete bambini,
Che colpa ne avete
Se il Giocattolo si rompe
E la Vita è un inferno?
Che altro aspettarsi?
Se tanto mi dà tanto
Va bene così, va bene lo stesso.
E se proprio ci tenete
Se proprio la ragione sta con voi
Io mi tengo l'Utopia.
Ma per favore,
Non storcete la bocca.
Non per altro:
La cosa non vi dona!

Ogni tanto, dicono, un po' di buon umore fa bene. Personalmente aggiungerei che non bisognerebbe mai farsene mancare una buona scorta, in particolare di questi tempi!
A proposito, cosa direbbe Emerson dei nostri tempi, lui che era così severo verso i suoi? Quali rimproveri ci farebbe? Quali consigli ci darebbe?
Chissà!
Forse chiudendo gli occhi, ascoltando attentamente, una voce interna potrebbe ispirarci parole molto simili a quelle che pronuncerebbe egli stesso. Vale la pena di provare: non costa nulla.

«Oro e ferro sono buoni
a comprar ferro e oro;
della terra il vello e il frutto
sono venduti ad acquistar simili cose.
Lo predisse il mago Merlino,
lo provò il grande Napoleone -
né merci né denaro comprano
ciò che sia oltre il loro valore.
Timore, astuzia e avarizia
non possono far crescere uno Stato.
A costruire dalla polvere
quel che è più che polvere,
le mura che Anfione ammucchiò
Febo deve poi riassestare.
Quando le nove Muse
con le Virtù s'incontrano,
trovano per i loro disegni
una sede atlantica,
che verdi rami di giardini
proteggono dalla calura,
dove traccia il reggitore
solchi per il grano.
Quando la Chiesa è valore sociale,
quando il pubblico palazzo è il focolare
allora al perfetto Stato si è pervenuti,
il repubblicano è a suo pieno agio».

(Sono i versi di Ralph Waldo Emerson che "aprono" il saggio Politica)







ICONA VARIAZIONIL' OPERA

Stamane una leggera nebbiolina
timido saluto dell'Autunno all'Estate
che se ne va, che risplendeva nell'oro
del Sole, ha annunciato il ritorno
alla realtà quotidiana.
Un commiato dolce
e solo un filo d'amarezza.
L' Opera attende, ed io
sono pronto a compierla.

Ora è Notte.
L'Ispirazione ha smesso di galoppare:
il Cavallo è stanco, Pegaso sta chiudendo le ali
per riaprirle e planare tra le sue valli profumate.
E la stella del Sud,
che ha nome Arturo,
è meno arancione che mai dopo il Plenilunio.

La luce argentea
del tardo Meriggio
annunciava la vittoria del Giorno
alle genti d'Occidente, tuttora ignare.
Un nuovo Giorno si prepara.

La Musica è terminata.











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